Perdite su crediti con più certezze

Il trattamento contabile guida la deduzione - Resta la disparità con le svalutazioni
Non tutto è risolto, ma la disciplina delle perdite su crediti, da fonte di contestazioni e contenziosi di ogni tipo, è sulla buona strada per risolvere molti dei problemi degli ultimi anni.
Vediamo con ordine gli ultimi interventi che si sono succeduti.
Con il decreto internazionalizzazione (Dlgs 147/2015) è stato fatto un altro passo in avanti per disciplinare in maniera chiara ed esauriente la deducibilità delle sofferenze da mancato incasso dei crediti, vero tallone d'Achille di tantissime imprese italiane.
Fino al 2012 il testo dell’articolo 101, comma 5, del Tuir era troppo generico per regolare in maniera soddisfacente la fattispecie, facendo riferimento a un concetto (“elementi certi e precisi”) che poteva significare tutto e niente. Rinunce unilaterali, transazioni, cessione di crediti e persino insinuazioni al fallimento: qualunque comportamento fiscale poteva essere opinabile e censurabile, senza la possibilità di distinguere chi cercava di comportarsi correttamente, con il risultato che le commissioni tributarie venivano investite di numerosi ricorsi, peraltro risolti in modo non uniforme.
A tre anni di distanza, molto è cambiato.
Con tre successivi interventi di peso, la norma si è arricchita di concetti condivisibili e, soprattutto, ha lasciato spazio al corretto comportamento contabile, vero motore di ogni successiva considerazione tributaria. I principi contabili (nella specie l’Oic 15) sono stati, nel frattempo, riformulati, eliminando le incertezze precedenti.
In sintesi, il principio oggi indica chiaramente le situazioni che determinano l’eliminazione della partita creditoria dal bilancio (con contropartita il fondo o, in caso di incapienza, la rilevazione della perdita a conto economico), e questa chiarezza ha consentito al legislatore fiscale di farvi diretto riferimento, collegando la nozione vaga e soggettiva di “elementi certi e precisi” a un evento oggettivamente regolato quale la cancellazione dallo stato patrimoniale.
Il nodo delle svalutazioni
In effetti, tra regola contabile e disciplina tributaria c’è ancora un’area in cui l’approccio è differente: le rettifiche di natura valutativa civilisticamente originano accantonamenti (cioè svalutazioni) e non perdite, poiché il diritto di credito, per quanto il realizzo sia compromesso, non è ancora venuto meno. Esempio tipico, i crediti coinvolti da una procedura, ma molto spesso anche gli stessi minicrediti.
Diversamente, sotto l’aspetto fiscale le svalutazioni deducibili sono solo di natura forfettaria - lo 0,5% di cui all’articolo 106, comma 1, peraltro riconosciute sui soli crediti commerciali - e le “rettifiche da valutazione” costituiscono perdite (articolo 101, comma 5), creando le basi per le complicazioni di una “doppia contabilità”, che proprio il Dlgs 147 ha cercato di alleviare.
Le norme base e i casi ad hoc
Attualmente, la norma tributaria si regge su due postulati inespressi e su quattro situazioni codificate, di cui viene delineata anche la competenza. Per quanto riguarda i postulati, essi riguardano:
la derivazione contabile, nel senso che la rilevazione della perdita deve sempre essere preceduta da un coerente comportamento di bilancio, e un credito considerato integralmente esigibile a livello contabile non può originare nessuna perdita deducibile;
la possibilità (si ritiene tuttora attuale, nonostante l’abrogazione dell’articolo 37-bis del Dpr 600/73) da parte dell’amministrazione finanziaria di sindacare le operazioni fittizie, in particolare ove intervenute tra soggetti non indipendenti: sia sotto il profilo dell’abuso di diritto recentemente disciplinato dall’articolo 10-bis della legge 212/2000, sia - più frequentemente in questa fattispecie - contestando fenomeni non elusivi ma evasivi, come la simulazione, l’interposizione e così via.
Le quattro situazioni positivamente disciplinate, invece, riguardano altrettante ipotesi in cui gli “elementi certi e precisi” scattano ex lege: procedure, minicrediti, prescrizione e cancellazione contabile (si veda l’articolo in basso).
Fonte: Il sole 24 ore autore Giorgio Gavelli
Sgravio garantito in quattro casi
A ogni situazione, la sua disciplina, sia sulla perdita che sulla competenza temporale.
Le procedure. La prima ipotesi in cui la perdita diviene «certa e precisa» è costituita dalle procedere concorsuali e paraconcorsuali. La norma è stata adeguata inserendo via via le nuove procedure: da ultimo quelle straniere equivalenti e il piano attestato di cui all’articolo 67 della legge fallimentare, il quale, dal 2015, apre la porta alla perdita a seguito dell’iscrizione nel registro delle imprese (da tener presente, però, che si tratta di iscrizione facoltativa e che solo l’attenta lettura del piano può orientare la deduzione).
Rimane invece ancora esclusa la crisi da sovraindebitamento: una carenza da colmare.
I minicrediti. La seconda situazione disciplinata riguarda i cosiddetti minicrediti e serve a evitare contestazioni in tutti i casi in cui l’importo che l’imprenditore rinuncia a rincorrere giudizialmente è giustificato dall’antieconomcità delle azioni da intraprendere. Si sono fissate due soglie a 2.500 e 5mila euro (per le imprese più grandi) e si è chiarito come applicarle, dando preminenza al comportamento contabile (circolare 26/E/2013).
La prescrizione. La terza fattispecie riguarda la prescrizione, da sempre considerata sinonimo di certezza della perdita. In proposito la conoscenza delle tempistiche civilistiche aiuta a non sbagliare, dato che non è ammessa la deduzione tardiva.
La cancellazione. Infine, la previsione più rilevante e innovativa, intervenuta con la legge di Stabilità 2014 e con effetto dal 2013. L’eliminazione del credito, correttamente operata in bilancio sulla base dei principi contabili, viene assunta dalla norma tributaria come «elemento certo e preciso» per la deducibilità della perdita.
Perdono di attualità, quindi, le liti (approdate in Cassazione) sulla cessione pro soluto del credito, a condizione che la natura e l’indipendenza del soggetto acquirente renda l’operazione attendibile (circolare 26/E/2013).
Escono dall’ombra le transazioni, laddove esistano motivazioni coerenti. Persino le rinunce – che sul piano contabile determinano senza dubbio perdite – trovano una loro dignità nelle interpretazioni dell’Agenzia, per quanto difficili da motivare. Anche se il problema, in realtà, nella maggior parte dei casi, è risolto dalla disciplina dei minicrediti.
C’è poi la distinzione tra deducibilità della perdita e recuperabilità dell’Iva in base all’articolo 26 Dpr 633/1972. Una distinzione infelice e per certi versi incomprensibile, che però viene mitigata dal Ddl di Stabilità 2016, anche se con una decorrenza che, per quanto ritoccata in sede di emendamenti (procedure dal 2017) andrebbe anticipata. Questa discrasia crea non pochi imbarazzi anche contabili e nell’imposizione diretta, per cui va il più possibile evitata.
Resta un altro aspetto da migliorare. La deducibilità della svalutazione limitata allo 0,5% della massa creditoria (articolo 106, comma 1) è un residuo di tempi andati, sistematicamente smentita dalla realtà. Un adeguamento è d’obbligo, con conseguente riduzione dei “fondi tassati” presenti nei bilanci “realistici” e della parallela gestione della fiscalità differita.

Commenti