Sugli affitti non percepiti non va fatta la fattura

Vanno invece dichiarati ai fini delle imposte sui redditi
In caso di morosità del conduttore di un immobile ad uso non abitativo, il locatore non è tenuto a emettere la fattura né a effettuare il versamento dell’Iva. È invece sottoposto alla imposizione diretta sui canoni, anche se non percepiti, i quali dovranno essere dichiarati fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto.
Tale principio è stato applicato di recente dalla corte di Cassazione (Sezione tributaria, sentenza n. 21621/2015) a una fattispecie riguardante una società che aveva dato in locazione un locale commerciale e, stante la morosità dell’inquilino, non aveva emesso fattura né versato l’Iva, né tantomeno dichiarato, ai fini dell’imposte dirette, i canoni di locazione non percepiti. Il locatore sosteneva che tale morosità legittimasse la dichiarazione fiscale dei canoni solo al momento del pagamento e si opponeva all’accertamento dell’agenzia delle Entrate.
La Cassazione ha accolto solo in parte il ricorso delle Entrate.
I giudici di legittimità hanno richiamato l’articolo 3, comma 3, e l’articolo 6, comma 3 - primo periodo del Dpr 633/72, che stabilisce che «le prestazioni di servizi sono soggette a Iva solo se rese verso un corrispettivo e si considerano effettuate al momento del pagamento». Sino a tale momento non sussiste obbligo di fatturazione né di versamento dell’Iva (Cassazione, sentenza 13209/2009).
Nell’imposizione indiretta il momento impositivo coincide con l’incasso del corrispettivo. Perciò, in caso di morosità del conduttore, il locatore non è tenuto ad emettere fattura né a versare l’Iva.
Diversamente, ai fini dell’imposizione diretta, gli stessi giudici hanno precisato che «per le locazioni d’immobili non abitativi il legislatore tributario ha previsto la regola generale di cui all’articolo 23 (ora 26) del Tuir secondo cui i redditi fondiari sono imputati al possessore indipendentemente dalla loro percezione ». Non è quindi richiesta la materiale percezione del provento: il canone va dichiarato, ancorché non percepito, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo.
Solo con la cessazione della locazione, i canoni non possono più concorrere alla formazione del reddito d’impresa.
Tuttavia, al fine di evitare che il locatore subisca in toto gli effetti della morosità, il Tuir prevede, con riferimento ai redditi delle società, che i canoni maturati per competenza e non riscossi possono essere dedotti come perdite su crediti se sia altrimenti dimostrata la certezza della insolvenza del conduttore-debitore e, quindi, la deducibilità della perdita, «non bastando a tal fine il semplice sfratto o l’accertamento giudiziale della morosità» (Cassazione sentenze 651/12 e 11158/13).
Nelle locazioni commerciali, ai fini della deducibilità della perdita è necessario, quindi, che sia data prova di una insolvenza che non permetta, al debitore, alcuna possibilità di recupero (dichiarazione di fallimento o pignoramenti); diversamente, per le locazioni di immobili adibiti ad uso abitativo, per le quali per il riconoscimento del credito di imposta di importo pari ammontare le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti, è sufficiente che l’accertamento sia avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità.
Fonte: Il sole 24 ore autore Luana Tagliolini

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