La rinuncia al credito è tassata

Tra le sopravvenienze attive (si veda anche Il Sole 24 Ore del 13 gennaio) una fattispecie assai ricorrente è la rinuncia del socio al credito di finanziamento. Partiamo dagli aspetti civilistici.
I soci possono liberamente decidere di finanziare la società con equity o debito, allo scopo di dosare le fonti di finanziamento in funzione degli impieghi dell’attivo patrimoniale. Se si opta per il finanziamento, esso è allocato nella voce D) 3) del passivo – Debiti verso soci per finanziamenti – che ricomprende le somme caratterizzate da un diritto dei soci alla restituzione. 
Soprattutto nei periodi di crisi economica, ma in generale ogniqualvolta le difficoltà aziendali lo richiedano, tali importi possono essere “convertiti” in riserve di patrimonio netto (voce A VII del passivo) per copertura perdite o comunque per ricapitalizzare la società. 
Il cambio di destinazione (OIC 28 par. 49):
deve concretizzarsi in un atto formale quale un’apposita delibera assembleare o una comunicazione da inviarsi alla società
è trattato contabilmente come apporto di patrimonio con natura di riserva di capitale.
Il finanziamento soci può altresì essere convertito in capitale sociale, mediante aumento di capitale riservato ai soci che hanno erogato il finanziamento, che lo sottoscriveranno previa compensazione del credito vantato verso la società (massima del notariato Milano n. 125/13).
Veniamo agli aspetti fiscali di queste operazioni.
Fino al 2015 le rinunce del socio al credito non avevano alcuna ripercussione fiscale in capo alla società, non costituendo sopravvenienza attiva in base all'articolo 88, comma 4 del Tuir.
Il quadro cambia invece con decorrenza 2016, in quanto l’articolo 13, comma 1, lettera a) del Dlgs 147/15 ha introdotto il nuovo comma 4-bis all’articolo 88 del Tuir, secondo il quale la rinuncia del socio al credito costituisce sopravvenienza attiva per la società per la parte che eccede il relativo valore fiscale, mentre il costo fiscale della partecipazione del socio si incrementa in misura pari al costo fiscale del credito rinunciato (articolo 94, comma 6 del Tuir).
In presenza di un credito con costo fiscale pari al valore nominale, la rinuncia non comporta alcuna sopravvenienza tassata.
Se invece il credito ha subìto una rettifica fiscale deducibile in base all’articolo 106 o 101 del Tuir che ne ha ridotto il costo, in pari misura la società dovrà tassare la sopravvenienza attiva. 
Altro caso è quello di acquisto del credito per un corrispettivo inferiore al valore nominale, circostanza che si verifica ad esempio quando la capogruppo acquista il credito di una partecipata a sconto da una banca. Nel regime previgente, infatti, la perdita su crediti era deducibile in capo alla banca, mentre la successiva rinuncia al credito da parte del socio non generava alcuna sopravvenienza tassata sulla partecipata. Con le modifiche del decreto internazionalizzazione, invece, cambia la fiscalità dell’operazione in quanto la sopravvenienza attiva diviene tassata per un importo pari alla differenza fra il corrispettivo di acquisto e il valore nominale del credito.
Infine, nella conversione del credito in partecipazioni il valore fiscale delle stesse equivarrà a quello del credito convertito, al netto delle perdite rilevate al momento della conversione. 
Fonte: il sole 24 ore autore Davide Cagnoni -Alessandro Germani

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