Ammortamenti al 140%

La maggiorazione del 40% del costo di acquisizione (anche tramite leasing) dei beni strumentali materiali nuovi nel periodo dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016 non risente delle valutazioni di bilancio in ordine al maggior o minor ammortamento rispetto a quello “tabellare” previsto dalle aliquote fiscali. È questa una delle risposte fornite dall’agenzia delle Entrate nel corso di Telefisco 2016 sull’agevolazione prevista dall’articolo 1, commi 91-94 della legge 208/2015 (Stabilità 2016).
Vediamo quali sono le conseguenze operative dell’interpretazione resa dall’Agenzia.
Una delle perplessità più frequenti sul funzionamento del superammortamento riguardava l’entità della variazione dichiarativa connessa all’agevolazione nel caso in cui l’impresa effettuasse in bilancio un ammortamento maggiore o minore rispetto a quello determinabile con le aliquote tabellari di cui al Dm 31 dicembre 1988.
Per affrontare il tema, è importante ricordare come, al di là delle semplificazioni terminologiche utilizzate per far riferimento a questa agevolazione, quest’ultima si concretizzi non in un “semplice” incremento dell’ammortamento o del canone di leasing deducibile, ma in una maggiorazione del costo su cui sono determinate queste ultime grandezze. Il tutto, ovviamente, rispettando i paletti disposti dal legislatore, che sono l’aliquota tabellare per la quota ordinaria e il 40% per la quota maggiorata. Se, quindi, l’ammortamento ordinario tabellare di un macchinario fosse pari al 20% del costo di 10mila euro (ossia 2mila) ma l’impresa ammortizzasse in bilancio il 30% (vale a dire 3mila), in Unico occorrerebbe operare due variazioni di segno contrario: una pari a mille per rendere indeducibile il maggior ammortamento non fiscalmente ammesso, e l’altra, pari a 800 (10mila per 40 diviso 100 per 20 diviso 100) per sfruttare l’agevolazione massima consentita.
Meno banale (e anche più frequente nella realtà) è la situazione opposta, in cui, ad esempio, l’impresa in bilancio ammortizza solo il 10% del costo (quota pari a mille), ossia meno di quanto ammesso fiscalmente. E si tratta proprio dell’ipotesi affrontata in Telefisco. Quale variazione in diminuzione è possibile effettuare in Unico nel caso specifico? Tre sono le soluzioni possibili (si veda lo schema ), mantenendo (ovviamente) il vincolo che, complessivamente, il maggior ammortamento non può eccedere il 40% del costo storico del bene:
•la prima calcola la deduzione in misura pari al 40% della quota spesata in bilancio (mille per 40 diviso 100 uguale 400);
•la seconda determina il beneficio sulla base del 40% di una quota tabellare di ammortamento (2mila per 40 diviso 100 uguale 800);
•la terza ottiene l’importo da dedurre come differenza tra quello massimo ammesso e quanto spesato in bilancio (10mila per 20 diviso 100 più 10mila per 40 diviso 100 per 20 diviso 100 meno mille uguale 1.800).
Le Entrate hanno confermato che la soluzione corretta è la seconda, perché è l’unica che rende il beneficio indipendente dal comportamento di bilancio dell’impresa. Quindi, anche chi applica contabilmente aliquote di ammortamento inferiori a quelle massime fiscali ottiene il medesimo beneficio dalla maggiorazione di chi ammortizza ad aliquote superiori (addirittura eccedenti quelle tabellari), il che, tra l’altro, evita sul nascere “spinte” verso repentini (quanto civilisticamente ingiustificati) incrementi di aliquote contabili di ammortamento. Ad analoga conclusione, peraltro, l’Agenzia era giunta nella risoluzione 98/E/2013 , con riferimento al recupero ai fini Ires di una svalutazione civilistica fiscalmente irrilevante.
Sempre rispondendo al medesimo quesito di Telefisco, è stato anche chiarito che la cessione o l’eliminazione del bene dal processo produttivo impedisce di fruire di eventuali quote non dedotte della maggiorazione: in effetti, chi acquista il bene sta investendo su un bene usato, e per di più lo farà quasi sicuramente in un periodo temporale che si colloca al di fuori di quello agevolato.
Fonte: Il sole 24 ore

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