Nelle assegnazioni doppia opzione per fissare l’imponibile

Scelta del minore fra costo storico e attualizzato
La circolare 26/E fornisce i criteri per determinare la base imponibile in caso di assegnazione di immobili che, per obbligo o per scelta, siano imponibili Iva. Secondo le Entrate occorre partire dal prezzo di acquisto (o di costo) del bene, sommarvi le spese di tipo incrementativo per le quali sia stata detratta l’imposta e diminuire l’importo così ottenuto dal deprezzamento subito dal bene (e dalle spese di riparazione e completamento a esso relative) durante la sua vita aziendale.
In via di principio, tutto molto chiaro. Ma come si misura il deprezzamento? Problema di assoluto rilievo pratico e, in attesa di chiarimenti ufficiali, proviamo a ragionare in termini pratici, tenendo però conto del fatto che la ratio della tassazione dell’autoconsumo/assegnazione è quella di “riequilibrare” il sistema, recuperando la detrazione operata all’atto dell’acquisto, in una logica non dissimile da quella della rettifica della detrazione.
In prima battuta, è da ritenere che non si possa ricorrere a rigidi criteri meccanicistici, prendendo come riferimento, per esempio, il periodo d’ammortamento dei beni o il termine per la rettifica della detrazione ai sensi dell’articolo 19 bis2 del decreto Iva. Seguendo quest’impostazione il bene potrebbe “uscire” completamente detassato, frustrando così le finalità delle regole sull’autoconsumo e prestandosi a coprire possibili abusi. Se si sceglie il criterio del termine decennale per la rettificabasterebbe attendere la fine del periodo di monitoraggio per guadagnare la detrazione sull’acquisto di un immobile che era destinato fin da subito alla sfera privata del socio. Per evitare simili (inaccettabili) risultati e volendo nel contempo individuare un criterio interpretativo che possa essere di applicazione generalizzata, si può ipotizzare di procedere per via comparativa.
Tralasciando per semplicità la questione delle spese incrementative, si potrebbe confrontare il costo storico del bene con il suo costo rideterminato all’atto dell’assegnazione, come chiedono la norma interna di cui all’articolo 13, comma 2, lettera c), Dpr 633/72 e quella comunitaria dell’articolo 74, direttiva 2006/112. Trattandosi del costo “attualizzato” (come afferma la circolare), si ritiene che lo stesso vada inteso come il costo che, alla data dell’operazione, la società assegnante dovrebbe sostenere per acquisire quell’immobile in quelle date condizioni d’uso e vetustà (con l’ausilio di un tecnico, non dovrebbe esserne troppo difficile la stima). In pratica, un valore normale-costo e non un valore normale-prezzo (comprenderebbe anche il ricarico praticato dall’assegnante per la cessione del bene sul mercato). A questo punto, si assume il minore dei due valori. Se il costo storico è inferiore al valore di costo rideterminato, il primo valore rappresenta la base imponibile dell’assegnazione. Così si restituirebbe solo l’imposta effettivamente detratta, senza tassare alcun “valore aggiunto” virtuale, esattamente come avviene nella rettifica della detrazione.
Se il costo storico è superiore al costo attualizzato, invece, dovrebbe essere lecito assumere quest’ultimo valore, dando rilievo al fatto che, oggi, “a prezzo di costo”, quel bene consentirebbe una detrazione inferiore rispetto a quella eseguita all’epoca. Ne uscirebbe un po’ penalizzata la “corrispondenza” autoconsumo/rettifica della detrazione, ma sarebbe comunque rispettato il dato normativo che impone, come confermano le Entrate, di riferirsi al prezzo d’acquisto del bene determinato al momento dell’assegnazione.
Il metodo proposto sembra idoneo a misurare il deprezzamento secondo criteri tutto sommato oggettivi. Se il costo storico è inferiore al costo attuale, ciò significa che il bene non ha subito alcun deprezzamento e che è corretto “restituire” l’imposta detratta sul prezzo d’acquisto, assumendo come imponibile dell’assegnazione il dato storico. Al contrario, se il costo storico supera quello attualizzato, la differenza fra i due valori esprime proprio il deprezzamento subito dal bene, con l’effetto che pare altrettanto corretto assoggettare a imposta un importo inferiore rispetto al costo d’acquisto.
Fonte: Il sole 24 ore autori Matteo Balzanelli Massimo Sirri
IMMOBILE CHE HA SUBITO UN «DEPREZZAMENTO»
IL CASO
La Alfa Spa ha acquistato nel 2005 un capannone al costo di 1.000.000 di euro, oltre Iva di legge, per 200.000 euro, detratta nel medesimo anno. Nel 2012 è stato posto in essere un intervento di ripristino, per un costo di 100.000 euro, oltre Iva di legge, per 21.000 euro . Alfa intende assegnare l’immobile al socio Mario Rossi.
LA POSSIBILE SOLUZIONE
Dal momento che Alfa ha svolto i lavori di ripristino e che l’assegnazione avviene entro cinque anni dall'ultimazione dei lavori, l'operazione sconta Iva per obbligo.Per individuare la base imponibile cui commisurare l’imposta, si dovrebbe confrontare il costo sostenuto con il costo “attualizzato” dell’immobile.
Il primo è dato dal costo d’acquisto e dalle spese incrementative, ossia 1.100.000 euro.
Il valore dell’immobile oggetto di assegnazione ha subito un decremento, anche (si ritiene) per effetto dell’andamento del mercato immobiliare di questi ultimi anni. Il valore di costo del medesimo capannone, stimabile a oggi, ammonta quindi a 800.000 euro.
La base imponibile cui effettuare l’assegnazione sarà pari a 800.000 euro al fine di tener conto del deprezzamento del bene.
IMMOBILE CHE HA SUBITO UN INCREMENTO DI VALORE
IL CASO
La Immobiliare Beta Srl ha acquistato nel 2012 un fabbricato strumentale al prezzo di 500.000 euro. Nel 2014 ha appaltato a terzi i lavori di ripristino per un costo di 100.000 euro, in virtù del fatto che nella zona in cui era ubicato era previsto un piano di riqualificazione. L’Iva sull'acquisto e sulla ristrutturazione è stata detratta. Oggi s’intende assegnare il bene al socio Giuseppe Verdi in vista della programmata cessazione dell'attività della società.
LA POSSIBILE SOLUZIONE
Dal momento che Beta Srl ha svolto, ancorché tramite terzi, i lavori di ripristino e che l'assegnazione avviene entro cinque anni dall’ultimazione dei lavori, l’operazione sconta Iva per obbligo.
Per individuare la base imponibile cui commisurare l’imposta dovremo confrontare il costo sostenuto con il costo “attualizzato” dell’immobile.
Il primo è dato dal costo d’acquisto e dalle spese incrementative, ossia 600.000 euro.
Dato l’avvio della riqualificazione della zona, dovuto anche all’insediamento di nuove attività, quali un centro commerciale, il valore di costo del medesimo capannone, stimabile a oggi, ammonta a 800.000 euro. La base imponibile dell’assegnazione sarà pari a 600.000 euro (costo “storico” sommato alle migliorie) in quanto non vi è stato alcun deprezzamento del bene.
OMAGGI AUTOPRODOTTI 
IL CASO
La Gamma Spa opera nel commercio all’ingrosso di calzature. Commercializza calzature da donna. In chiusura del bilancio 2015, è stata rilevata la presenza di rimanenze di collezioni di anni precedenti che si è deciso di cedere gratuitamente, in parte, alla clientela. Costo d’acquisto delle calzature che saranno cedute in omaggio è 100 euro al paio.
LA POSSIBILE SOLUZIONE
Gli omaggi effettuati rilevano ai fini dell’Iva in quanto trattasi di beni oggetto della propria attività. Bisogna quindi quantificare il “costo residuo” dei beni.
Nel caso in oggetto, trattandosi di calzature appartenenti a collezioni di stagioni passate, il valore cui si sarebbe disposti ad acquistarle oggi è pari a 20euro al paio.
Si è verificato quindi un deprezzamento e, pertanto, l’autofattura per assolvere l’Iva sugli omaggi potrebbe esprimere un’imposta commisurata su 20euro per ciascun paio di calzature.

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