Il trattamento fiscale dell'allevatore

La legge 349 del 23 agosto 1993 ha rappresentato un passaggio e un punto di riferimento fondamentale per tutti coloro che esercitano l’attività di allevamento di cani.
È stato infatti riconosciuto che l’attività allevatoria è considerata a tutti gli effetti come esercizio di attività agricola e coloro che possiedono almeno cinque fattrici e producono almeno trenta cuccioli (DM 28.01.1994) sono da considerarsi imprenditori agricoli. 
Ma quali sono gli effetti del riconoscimento da parte dello Stato italiano dell’allevamento cinofilo quale attività agricola? 
In primis consente agli allevatori che svolgono tale attività in maniera prevalente di usufruire del trattamento previdenziale e pensionistico che compete agli imprenditori agricoli e ai coltivatori diretti. 
In tal modo si è concluso definitivamente il contenzioso che si era aperto in alcune Regioni. Tale legge può risolvere poi tutte quelle problematiche di natura urbanistica ed edilizia che i nostri allevatori hanno incontrato e incontrano quotidianamente presso i Comuni per costruire i propri canili e gli altri locali di ricovero dei mezzi.
Ai fini della classificazione agricola dell’attività è fondamentale quindi il raggiungimento degli obiettivi minimi del numero dei cuccioli e del mantenimento delle fattrici, dimostrando l’occupazione prevalente e personale nella conduzione dell’azienda per la cura e l’alimentazione dei propri cani. La Legge 349 ha quindi riconosciuto giuridicamente la figura dell’allevatore di cani, ma senza un immediato recepimento di tale novità nel sistema tributario italiano.
Come ho sottolineato più volte nelle mie precedenti pubblicazioni, la soluzione attuativa di tale indirizzo giuridico andava ricercata nell’attuale legislazione in materia tributaria, cioè individuando l’adeguamento delle normative esistenti (inserite nel Testo Unico delle Imposte Dirette DPR 22.12.1986 n. 917).
L’inserimento dell’allevamento di cani nel Decreto Ministeriale 20.04.2006, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 97 del 27.04.2006, rappresenta quindi un passaggio importante in quanto permette ora di concludere che l’attività di allevamento di cani è di natura agricola anche per le imposte dirette. Preliminarmente va chiarito come le attività agricole, classificate dal comma 2 dell’art. 32 del Testo Unico, determinano il loro reddito in maniera forfetaria basandosi sulle tariffe d’estimo dei terreni rivalutate secondo gli indici di legge.
Più precisamente, il reddito agrario è determinato mediante applicazione di tariffe di estimo stabilite per ciascuna qualità e classe secondo le norme della legge catastale, e le tariffe di estimo sono sottoposte periodicamente a revisione.
Nello specifico le attività di allevamento sono considerate attività agricole se collegate, seppur in via teorica, con la coltivazione del fondo e la produzione di foraggio destinata all’alimentazione degli animali. 
L’obiettivo, sempre teorico, è che l’allevamento di ogni singola specie sia raggiunto con mangimi ottenibili per almeno un quarto del terreno.
Il Ministero delle Finanze pubblica ogni due anni un decreto (appunto il nuovo Decreto Ministeriale 20.04.2006 per il biennio 2005/2006) dove è stabilita, per ogni categoria di terreno, la produzione ottenibile di unità foraggere standard, e per ogni specie animale il consumo pro-capite di unità foraggere standard; in base a queste tabelle annuali è possibile verificare il rispetto del limite sopra descritto, anche se con un criterio “forfetario”.
Quali vantaggi porta l’inserimento della categoria della specie cani nel Decreto Ministeriale citato e quali valutazioni deve svolgere l’allevatore per ritenersi in tale categoria?
Innanzitutto, è ovvio, l’allevatore deve possedere, in proprietà, in affitto o altro titolo, un terreno determinato catastalmente come particella fondiaria e produttore, per classificazione catastale, di reddito agrario, cioè di quella parte di reddito spettante al capitale di esercizio e all’attività imprenditoriale agricola.
È altrettanto ovvio che l’allevatore svolgente la propria attività senza l’utilizzo di terreni agricoli determina il proprio reddito rientrando, se l’attività è svolta in forma imprenditoriale, nei redditi d’impresa con la determinazione dell’utile in base alla differenza tra costi e ricavi.
Il vero dilemma per ogni allevatore, peraltro già fonte di vario contenzioso a livello tributario, è quello di stabilire se la propria attività viene svolta nella forma d’impresa organizzata, così come prevista dalle norme fiscali, stante il sottile confine che la contraddistingue dall’attività hobbistica.
L’allevatore, in possesso di terreno, dovrà verificare, in base alle tabelle di calcolo del Decreto Ministeriale citato (che determinano un diverso risultato secondo le varie fasce di qualità dei terreni, quali seminativo, arativo, ecc.), il numero dei capi allevabili per rientrare nella determinazione forfetaria del reddito agrario calcolato sulla base delle rendite catastali. Va precisato che il Decreto Ministeriale in questione prevede la determinazione dei capi allevati, per analogia con il Decreto di attuazione della legge 349 del 28.01.2004, sulla base dei prodotti nati in un determinato anno.
Se da tale primo calcolo l’allevatore determina che il numero dei capi allevati è inferiore a quello del risultato teorico in base ai parametri, il suo reddito si limiterà all’esposizione nella propria dichiarazione dei redditi del solo reddito agrario catastalmente determinato.
Se invece il numero dei capi allevati supera il limite calcolato in base ai terreni posseduti, l’impresa di allevamento dovrà istituire un registro di carico e scarico degli animali allevati (l’impresa agricola sarà così denominata con “terreno insufficiente”). Per ogni cane allevato in eccedenza il reddito è determinato in base alla tabella allegata al Decreto Ministeriale in Euro 7,02 il cui importo viene raddoppiato se l’impresa di allevamento è una ditta individuale senza manodopera dipendente e senza che sia stata enunciata l’impresa familiare. 
Poiché il Decreto ha effetto nel biennio 2005/2006 le imprese di allevamento possono rientrare nel reddito agrario o, nel caso di terreno insufficiente, nei parametri per la determinazione del reddito di allevamento, già per il periodo d’imposta 2005 (Unico 2006). 
Il registro di carico e scarico, se necessario, può essere costituito anche a consuntivo, stante anche la sua corrispondenza con il Registro del Libro Genealogico tenuto dall’ENCI. Per tale registro non è obbligatoria né la vidimazione né la bollatura iniziale. 
La pubblicazione del D.M. rappresenta quindi una grande occasione per gli allevatori in quanto possono, se organizzati in forma d’impresa,
1) determinare il loro reddito in forma forfetaria secondo il reddito agrario o
2) in base ai parametri del reddito di allevamento se con “terra insufficiente” cioè con un numero di capi allevati (cuccioli) oltre il limite ottenuto dal calcolo dei parametri.
Cosa s’intende per reddito agrario (rif. art. 32 Testo Unico delle Imposte Dirette): 
- il reddito agrario è costituito dalla potenzialità del terreno nell’esercizio di una attività agricola ed è determinato con l’applicazione di tariffe di estimo; 
- ai fini fiscali sono considerate attività agricole l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno; 
- in tali attività ogni due anni il Ministero delle Finanze stabilisce con un decreto, di concerto con il Ministero delle Risorse Agricole, per ciascuna specie animale il numero dei capi rientranti nei limiti dell’allevamento con utilizzo teorico di mangimi ottenibili per almeno un quarto del terreno tenendo conto della potenzialità produttiva dei terreni e delle unità foraggere occorrenti a secondo della specie allevata. 
Disposizioni in materia di determinazione del reddito agrario da inserire in dichiarazione dei redditi (rif. art. 34 Testo Unico delle Imposte Dirette):
- il reddito agrario è determinato mediante l’applicazione di tariffe d’estimo stabilite per ciascuna qualità e classe secondo le norme della legge catastale; 
- tali tariffe di estimo sono sottoposte a revisione periodica; 
- il reddito agrario è determinato secondo le tariffe di estimo risultanti in catasto per ciascuna particella fondiaria con una rivalutazione del 70%; 
L’allevatore al fine di determinare il proprio reddito deve effettuare le seguenti verifiche anche preventive:
- esaminare il certificato catastale dei terreni utilizzati per l’allevamento e in particolare ricavarne la classificazione sul tipo di coltura dichiarata e il reddito agrario derivante; 
- calcolare in base alla disponibilità del terreno, della sua coltura e del reddito agrario, il numero di unità foraggere potenziali e di conseguenza il numero dei capi allevabili entro i limiti teorici per la produzione del mangime; 
- qualora il numero dei capi allevati nel corso dell’anno siano inferiori al numero dei capi allevabili come sopra determinati, l’allevatore professionale dovrà dichiarare nel modello Unico nel quadro dei terreni il solo reddito agrario aggiornato; 
- qualora invece il numero dei capi allevabili sia superiore l’allevatore professionale dovrà istituire il registro di carico e scarico degli animali allevati e per ogni cane allevato in eccedenza va dichiarato un reddito forfetario pari a Euro 7,02 qualificabile come reddito d’impresa; 
- per il registro di carico e scarico può essere utilizzato, opportunamente integrato, anche il registro di allevamento previsto per gli allevatori con affisso.
Fonte: www-enci.it a cura di Gaetano Turrini - www.enci.i

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