Prestiti infruttiferi al test documentale

La soluzione migliore è il contratto siglato tramite corrispondenza commerciale
Alcuni uffici tassano anche la menzione dell’operazione da parte di un terzo o perito
La documentazione necessaria o quantomeno opportuna per attestare un finanziamento infruttifero dei soci è un argomento sul quale si sono registrate, in tempi recenti, alcune interessanti sentenze che permettono di inquadrare questa operazione sia ai fini bilancistici , sia in prospettiva della imminente redazione del modello Redditi 2018.
Il nodo dell’atto scritto
Un primo aspetto è rappresentato dalla circostanza che sia o meno necessario un atto scritto per evitare che l’agenzia delle Entrate possa disconoscere la posta debitoria imputata nel passivo patrimoniale, e conseguentemente accertare una sopravvenienza attiva.
Il problema trae spunto dalla sentenza della Cassazione 25578/2017 con cui si concluse un contenzioso con esito favorevole alle Entrate. Nell’avviso di accertamento si prendeva atto della esposizione in bilancio di un debito verso soci per finanziamento infruttifero, ma non avendo provato la società l’effettività di tale debito tramite consegna al verificatore del contratto di finanziamento, si concludeva che il debito doveva essere ritenuto insussistente con conseguente genesi di una sopravvenienza attiva tassabile. La conclusione, in effetti, non poteva essere condivisa poiché anche ipotizzando l’assenza del contratto restava pur sempre il fatto che un da un versamento soci (fatto non contestato) non poteva derivare alcuna materia imponibile per la società. La conclusione è stata ribaltata con la recente sentenza di Cassazione 6104/2019 in cui un caso analogo ha visto diversa conclusione dato che il bilancio viene definito come «il documento principale da cui dover partire per qualificare la natura di un entrata». Quindi un debito verso i soci appostato nel passivo patrimoniale è in sé opponibile a terzi (erario compreso) e non è disconoscibile in sede accertativa.
La delibera sul finanziamento
Un secondo aspetto è rappresentato dalla diffusa scelta di documentare l’avvenuto finanziamento dei soci tramite delibera assembleare. Questo comportamento, in sé certamente non sbagliato, va tuttavia approfondito alla luce di due sentenze che hanno analizzato il valore della delibera sia ai fini dei rapporti interni socio/società, sia ai fini del rapporto con l’Erario, cioè dell’obbligo o meno di versare l’imposta proporzionale di registro nella misura del 3 per cento.
Nella prima sentenza (Tribunale di Milano 6865/2017) una società citava in giudizio un socio in quanto inadempiente rispetto all’obbligo di eseguire un finanziamento infruttifero soci. La società documentava il proprio diritto a riscuotere la somma citando un verbale assembleare nel quale risultava presente il socio inadempiente, ebbene in quel verbale era stato approvato all’unanimità il finanziamento stesso. Con questa sentenza si è affermato che il verbale assembleare non è un documento efficace ad attestare l’impegno negoziale uti singulus del socio ad eseguire il versamento, ma è solo la ricognizione di una delle parti (la società) su quanto stabilito in assemblea.
Quindi dal verbale assembleare non emerge alcuna obbligazione assunta dal socio e non può essere citato quale documento dal quale desumere un impegno non adempiuto. Per contro, nel caso in cui il verbale assembleare registrasse la sottoscrizione di tutti i soci, esso avrebbe sì valenza di contratto, ma si porrebbe poi il problema dei rapporti con l’Erario in caso di mancato versamento dell’imposta di registro.
L’imposta di registro
Ciò è quanto ha concluso la Corte di cassazione con la sentenza 1951/2019 in cui si è avvalorato l’avviso di accertamento delle Entrate che aveva ritenuto che il verbale assembleare sottoscritto dai soci costituisse titolo per rendere dovuto il versamento dell’imposta di registro.
Quindi sotto questo profilo è sconsigliabile scegliere la soluzione del verbale assembleare sottoscritto dai soci per attestare il finanziamento infruttifero e certamente più opportuno è ricorrere al contratto stipulato per corrispondenza commerciale in cui non esiste un unico documento scritto nel quale risulta il perfezionamento della volontà dei soci bensì due documenti. In tale ultima circostanza si rende dovuta l’imposta di registro solo un in caso d’uso. Sul punto è importante segnalare che alcuni uffici delle Entrate pretendono, a parere di chi scrive in modo non legittimo, il versamento dell’imposta di registro anche in caso di registrazione di un atto nel quale viene citato l’avvenuto finanziamento e ciò non solo nella ipotesi nota del ripianamento di perdite utilizzando la rinunzia di precedenti finanziamenti soci eseguiti verbalmente (Cassazione 15585/2010), ma addirittura nella fattispecie in cui l’avvenuto finanziamento infruttifero derivi da una citazione in una perizia di trasformazione societaria, senza considerare che in tale caso non vi è enunciazione vera e propria ma solo citazione da parte di un terzo (perito) di una operazione eseguita da altri soggetti.
Fonte: Il sole 24 ore autore Paolo Meneghetti

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