In dubbio i forfettari e le operazioni extraterritoriali passive

Per la compilazione dell’esterometro conta solo il fatto che la controparte sia stabilita all’estero.
Non importa la sua qualifica, né che le cessioni (o gli acquisti) di beni o le prestazioni di servizi rese (o ricevute) siano irrilevanti ai fini Iva in Italia dal punto di vista territoriale. Sono queste le conclusioni della risposta 85 pubblicata dalle Entrate il 27 marzo scorso, che si aggiungono alle indicazioni ritraibili dall’articolo 1, comma 3-bis, Dlgs 127/2015.
È bene allora mettere in fila le (poche) certezze e i (molti) dubbi in vista della scadenza del 30 aprile (e in attesa di sapere se l’adempimento avrà periodicità trimestrale in base alle semplificazioni ipotizzate; si veda Il Sole del 30 marzo).
A livello soggettivo, presentano la comunicazione delle operazioni transfrontaliere i soggetti passivi residenti o stabiliti nel territorio dello Stato.
Secondo la recente risposta e diversamente da quanto ipotizzabile (Assonime circolare 26/2018), il riferimento ai soggetti del comma 3 dell’articolo 1 pare limitato al profilo della residenza/stabilimento dell’operatore senza che rilevi l’obbligo di emissione della fattura elettronica. Se ciò fosse confermato, sarebbe tenuto all’esterometro anche chi beneficia dell’esonero dall’e-fattura (i forfettari, per esempio).
Il rinvio al concetto di stabilimento, inoltre, implica che non deve trasmettere la comunicazione il rappresentante fiscale o l’identificazione diretta del non residente.
Vi dovranno invece provvedere le stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, comprendendo (si ritiene) le operazioni realizzate dalla casa madre estera per le quali è necessario servirsi della partita Iva della stabile (cessioni intraUe dall’Italia, in ipotesi). Per le cessioni e prestazioni nei confronti del rappresentante fiscale o dell’identificazione Iva del non residente, si può evitare l’esterometro se si sceglie di emettere fattura elettronica con codice destinatario «0000000» (Faq 30 delle Entrate).
Anche l’e-fattura verso la controparte estera con codice destinatario a sette «X» evita l’esterometro (provvedimento 89757/2018, par. 9.4). La risposta 85, trattando degli acquisti di beni/servizi da soggetti extraUe per cui c’è obbligo di autofattura ex articolo 17, comma 2, Dpr 633/72, precisa invece che «non è richiesta la forma elettronica della fattura» e che, quindi, essi vanno riepilogati nella nuova comunicazione. Da questa precisazione potrebbe però desumersi che, pur non essendo richiesta, se l’autofattura elettronica è emessa volontariamente (e inviata allo Sdi), ci si possa “risparmiare” l’esterometro, come già sollecitato su queste pagine.
L’obbligo riguarda anche le operazioni con controparti estere private. Tuttavia, dovrebbe trattarsi sempre di operazioni documentate con fattura, come avveniva per il “vecchio” spesometro e come si desume dall’allegato A delle specifiche tecniche per l’esterometro (ora nella versione 1.4.1 del 29 marzo).
A prescindere dai modelli Intrastat (che vanno comunque presentati, ricorrendone le condizioni), entrano nell’esterometro anche le operazioni intracomunitarie attive e passive, restando semmai il dubbio per quelle “assimilate”.
Ragionando per principi, in effetti, la fattura emessa dall’operatore nazionale nei confronti del proprio rappresentante fiscale in altro Stato Ue (per un trasferimento a se stessi, per esempio), è una fattura nei confronti di un soggetto stabilito in Italia, ancorché identificato Iva in altro Paese membro.
Le operazioni per cui è emessa bolletta doganale sono invece escluse dalla comunicazione. È quanto dispone la norma, senza alcuna distinzione fra import ed export (se non è così, va detto).
Secondo le Entrate, le operazioni extraterritoriali vanno nell’esterometro, ma, anche in questo caso, solo se documentate con fattura. La fattura per una vendita di beni esistenti all’estero va dunque comunicata, anche se si è in presenza di una bolletta doganale emessa da un’altra dogana comunitaria (“sconosciuta”, in quanto tale, all’amministrazione finanziaria italiana), come avviene per l’esportazione con partenza dei beni da uno Stato Ue diverso dall’Italia.
Per le operazioni extraterritoriali passive (per esempio, un servizio alberghiero fruito all’estero), il dato normativo – che si riferisce alle operazioni verso/da soggetti non stabiliti – e l’indicazione contenuta nella risposta delle Entrate circa l’irrilevanza del presupposto territoriale, farebbero propendere per il loro inserimento nella comunicazione. E ciò, anche se non è necessaria l’annotazione nella contabilità Iva e anche se il documento ricevuto, in caso di fornitore extraUe, non è neppure una “fattura” in senso tecnico. Se le cose stanno effettivamente così, per semplificare l’adempimento e agevolare l’estrazione dei dati da comunicare, si potrebbero far transitare nei registri Iva tutti gli acquisti, compresi quelli extraterritoriali.
Fonte: Il Sole 24 ore autore Matteo Balzanelli

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