Credito d’imposta per i conferimenti di capitale

Dopo il primo intervento del Dl Liquidità che ha sospeso gli obblighi di riduzione e ricostituzione del capitale, il Dl Rilancio introduce ora incentivi alla ripatrimonializzazione. A tal fine viene utilizzata la leva fiscale sia per promuovere il conferimento di mezzi freschi in società con fatturato tra 5 e 50 milioni, sia per sostenere le aziende con perdite 2020 da Covid.
È previsto un credito d’imposta del 20% dell’importo investito, con un tetto massimo di 2 milioni, purché la società conferitaria abbia: 
a) subìto, nei mesi di marzo e aprile 2020, un decremento dei ricavi di almeno il 33% rispetto allo stesso periodo 2019; 
b) deliberato e versato l’aumento di capitale nel periodo che va dall’approvazione del decreto al 31 dicembre 2020 e l’investitore detenga la partecipazione fino al 31 dicembre 2023. 
Fino a tale data, inoltre, non potranno essere distribuite riserve, pena la perdita del beneficio, con restituzione dell’importo detratto, unitamente agli interessi legali. Critica la situazione del nuovo investitore con una quota di minoranza laddove il socio di maggioranza deliberi di distribuire.
L’agevolazione per la società conferitaria consiste in un credito d’imposta del 50% delle perdite eccedenti il 10% del patrimonio netto fino a concorrenza del 30% dell’aumento di capitale. Il credito non rileva ai fini Ires e Irap e, anche in questo caso, la società non potrà distribuire riserve fino al 1° gennaio 2024. Nel computo del patrimonio netto si ritiene che non debba essere considerata né la perdita dell’esercizio 2020 né l’aumento di capitale effettuato in corso d’anno.
Le due agevolazioni sono cumulabili; la società conferitaria rilascerà una certificazione attestante che «l’importo complessivo agevolabile» non supera il massimale ovvero, in caso contrario, il minor importo spettante a titolo di credito d’imposta al conferente.
La disposizione va raccordata agli articoli 6 e 8 del Dl Liquidità. In questa fase di emergenza le società di capitali possono reperire la liquidità necessaria per garantire la continuità con una più ampia gamma di strumenti, dall’equity al debito. Anche in caso di erosione del capitale per perdite gli amministratori potranno dunque continuare a operare senza che si determini la causa di scioglimento (e le connesse responsabilità) attingendo ai prestiti garantiti dallo Stato o degli stessi soci, che se erogati entro fine anno restano esonerati dalla postergazione. Se il Dl Liquidità ha così superato potenziali disincentivi a iniezioni di liquidità da parte dei soci o infragruppo, con il Dl Rilancio si è inteso mitigare i rischi di un eccesso di leva, già oggi più elevata rispetto alla media europea, premiando gli operatori che, nonostante le incertezze, decidano di effettuare conferimenti. Dall’obbligo si passa così all’incentivo, secondo la tecnica del nudge. E va sottolineato che sino a fine anno gli aumenti di capitale potranno essere deliberati senza procedere a preventive riduzioni e indipendentemente dall’adeguatezza dell’aumento a ripristinare i minimi di capitale. Una società con un capitale di 50mila euro e un patrimonio netto negativo per 300mila potrà pertanto deliberare un’emissione di nuove azioni o quote per 250mila euro, con conseguente aumento di capitale da cinquanta a 300mila euro. La novità è evidente: non soltanto non occorre procedere al tradizionale meccanismo a fisarmonica, come già chiarito dal notariato milanese nel solco del caso Juventus, ma sino a fine anno l’aumento potrà aver luogo anche se la società si ritrovi post operazione con un patrimonio inferiore di oltre un terzo rispetto al nuovo capitale (o addirittura, come nell’esempio, negativo). Il tutto, sussistendone i presupposti, con i vantaggi fiscali ora ricordati.
Il Sole 24 Ore - Niccolò Abriani, Nicola Cavalluzzo

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